A come accesso, B come buona amministrazione, C come capitale umano: Renato Brunetta ha sintetizzato così i tre interventi più significativi messi in atto da quando è stato nominato Ministro per la Pubblica Amministrazione. Quella della PA è una galassia composta da 32 mila singoli enti: non un monolite, ma un universo ricco e variegato. Una risorsa da valorizzare che può contribuire in modo determinante a far crescere il Paese
Per iniziare Le chiedo quali sono i tre interventi più significativi da quando è stato nominato Ministro per la Pubblica Amministrazione?
Li ho sintetizzati nelle prime tre lettere dell’alfabeto: A come accesso, B come buona amministrazione, C come capitale umano. Tutto prodromico alla D di digitalizzazione. Alla voce “accesso” abbiamo sbloccato, digitalizzato e velocizzato i concorsi pubblici, che oggi non durano più fino a quattro anni, ma cento giorni. Abbiamo, inoltre, introdotto procedure rapide per reclutare il personale necessario all’attuazione del PNRR e abbiamo realizzato in pochi mesi un portale, inPA, che è il LinkedIn della Pubblica Amministrazione, con 6 milioni di profili registrati e la possibilità di estendere le ricerche ai 16 milioni di iscritti a LinkedIn Italia. Un’innovazione talmente dirompente da meritarsi il Premio Agenda Digitale 2021 dell’omonimo Osservatorio del Politecnico di Milano. Da maggio a dicembre sono state sbloccate e messe a concorso 45 mila posizioni, a cui si aggiungono quasi 10 mila nuovi ingressi per il PNRR. Nel 2022 prevediamo 100 mila assunzioni a tempo indeterminato e decine di migliaia legate al Piano. Puntiamo a rendere attrattiva la Pubblica Amministrazione per i giovani e per tutti quei professionisti che finora hanno considerato soltanto il privato come sbocco professionale.
Per la “buona amministrazione”, il decreto legge 77/2021 e il decreto legge 152/2021, che hanno eliminato i colli di bottiglia che avrebbero rallentato o impedito la realizzazione dei progetti del PNRR, hanno introdotto incisive semplificazioni in molti settori chiave: ambiente, urbanistica, appalti, banda ultralarga. Con il primo decreto sono stati dimezzati i tempi delle valutazioni ambientali (VIA), ridotte di oltre la metà le attese per le autorizzazioni per la banda ultralarga, sbloccato il superbonus 110% con la predisposizione di un modulo CILA (Comunicazione di inizio lavori asseverata), accelerati gli appalti (anche impedendo a eventuali ricorsi al Tar di bloccare le opere previste dal PNRR), rafforzati il silenzio assenso e i poteri sostitutivi. Con il secondo decreto sono state previste ulteriori semplificazioni per la digitalizzazione dei servizi delle amministrazioni pubbliche, con particolare riferimento all’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR).
Alla voce “capitale umano”, abbiamo avviato il più grande piano di formazione per tutti i 3,2 milioni di dipendenti pubblici mai realizzato nella storia repubblicana: “Ri-formare la PA. Persone qualificate per qualificare il Paese”. Un programma che da un lato, grazie ad accordi con oltre 70 Università su tutto il territorio, consente ai lavoratori della PA l’accesso a condizioni agevolate all’istruzione terziaria (lauree, corsi di specializzazione e master) e che, dall’altro lato, potenzia le competenze digitali, in collaborazione con i top player nazionali e internazionali, pubblici e privati, del settore tecnologico. Una gigantesca “ricarica delle batterie” del lavoro pubblico, accompagnata dalla previsione, nei nuovi contratti, di una adeguata valorizzazione della formazione, in termini di miglioramenti di carriera e di retribuzione.
Adesso si aspetterà che Le chieda quali sono state le tre maggiori difficoltà, invece, Le chiedo qual è il prototipo di dirigente pubblico che secondo Lei serve all’amministrazione pubblica italiana. Quali conoscenze, competenze, atteggiamenti e comportamenti dovrebbe avere? E quale composizione in termini di distribuzione per età?
La nostra Pubblica Amministrazione non è un monolite, ma un mondo ricco e variegato composto da 32 mila singoli enti, che vanno dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare al Corpo dei Vigili del Fuoco, passando per le Comunità montane e le Camere di commercio. Lo dico perché una delle cose che mi sto impegnando a fare in questi mesi è anche raccontare questa varietà e ricchezza, dove c’è bisogno di professionalità diverse e background eterogenei, anche nei ruoli dirigenziali. Quindi non credo si possa parlare di “prototipo” unico. Quello che certamente possiamo dire è che ci sono alcune caratteristiche trasversali che devono accomunare tutti i dirigenti pubblici, a prescindere dalla postazione da cui svolgono la loro funzione. Ne scelgo tre. La prima è la capacità di leggere e gestire la complessità, senza lasciarsene travolgere. Le amministrazioni pubbliche – penso soprattutto agli enti centrali, ma anche alle aziende sanitarie, alle regioni con la loro rete di società collegate – sono organizzazioni complesse per numero di addetti, volumi di risorse assegnate, numero di utenti o cittadini serviti. Non sono così numerose nel privato – a parte forse le banche – realtà di questa complessità, soprattutto nel panorama italiano fatto di piccole e medie imprese. La seconda qualità del dirigente ideale è la leadership: le amministrazioni pubbliche, lo abbiamo detto e scritto ovunque, hanno come principale fattore produttivo il lavoro. Anzi, visto che è un lavoro destinato col tempo ad essere sempre più qualificato, facciamo riferimento al concetto di capitale umano. Ecco, questo capitale umano va gestito, sia nel piccolo Comune, sia nel grande ministero. La terza caratteristica del dirigente pubblico è l’etica e lo spirito di servizio. Non è retorica, è una risorsa tanto più cruciale quanto più si ricopre un ruolo di vertice. Noi abbiamo la responsabilità di riconoscere questa risorsa, alimentarla e valorizzarla al meglio: chi pensava di risolvere il problema dell’etica inserendo per legge mille regole e vincoli, come è accaduto nel settore degli appalti, non ha fatto altro che appesantire il fardello burocratico nei nostri enti, portando, di fatto, alla paralisi. Noi vogliamo dirigenti che si assumano le loro responsabilità.
Sappiamo che il tema delle valutazioni delle performance è da sempre una delle sue priorità. A riguardo, com’è cambiato – ammesso che sia cambiato – il suo modo di vedere questo problema dopo il Decreto 150 del 2009 identificato anche con il suo nome?
La valutazione della performance resta una priorità e la linea di riforma attuale è in totale continuità con quella di allora. Stiamo lavorando a una sorta di “fase due”, anche perché ora ho le risorse per fare quello che allora, complice la crisi economico-finanziaria e i vincoli che ne sono seguiti, non si poteva fare. Questo mio secondo ciclo alla Pubblica Amministrazione nasce, infatti, in un contesto economico, politico e sociale completamente diverso da quello di allora. La principale differenza si chiama PNRR. Possiamo investire in formazione, cosa che allora non si poteva fare, per accompagnare il cambiamento. Per questo abbiamo ripreso il filo dove lo avevamo lasciato nel 2009. Anzi, siamo ripartiti dal lavoro che gli enti hanno fatto in questi 12 anni di applicazione del Dlgs 150. Prima del 2009 nessuno valutava niente. In questo decennio si sono compiuti dei passi avanti grazie a quella riforma e ormai la misura delle performance è entrata nel lessico e nella pratica delle amministrazioni. Si sono succeduti diversi ministri dopo di me, ma nessuno ha modificato l’impianto della mia riforma sulle performance, che col tempo ha assunto sempre maggiore centralità. Ma non la considero certamente una riforma conclusa. Allora la sfida era di metodo, che veniva introdotto per la prima volta. Acquisito il metodo, oggi dobbiamo chiederci cosa valutiamo. Sono finiti i tempi in cui “predisporre il bilancio” può essere considerato un obiettivo di performance. Occorre imparare a costruire la valutazione sugli impatti esterni, su come cambia la vita delle famiglie e delle imprese grazie all’azione dell’amministrazione pubblica. Nel PNRR l’abbiamo chiamata outcome-based performance, che poi è la stessa logica con cui Bruxelles valuta noi nell’ambito del PNRR. C’è anche un altro aspetto che completa la riforma di allora. Non basta redigere il piano della performance se poi tutti gli altri strumenti di programmazione e di organizzazione non sono integrati. Soprattutto ora, con le assunzioni ripartite, è fondamentale che le strategie di gestione dell’organizzazione siano coerenti con gli obiettivi di performance. Queste due azioni, valutazione degli outcome e integrazione degli strumenti di programmazione e di organizzazione, sono alla base del PIAO: un unico documento di programmazione che obbliga a superare lo spirito del mero adempimento al quale alcune pratiche si erano abbandonate, per abbracciare una logica più orientata ai cittadini e più integrata.
Molti, se non tutti i Ministri della Funzione pubblica, si sono cimentati con il tema della semplificazione. Lei ritiene che sia giunto il momento in cui si possa intervenire efficacemente su questo aspetto, realizzando un’amministrazione attenta alle esigenze di cittadini, famiglie, imprese e organizzazioni del Terzo settore?
Ora o mai più. A parte i decreti che ho già citato, il PNRR prevede la semplificazione di 600 procedure amministrative complesse entro il 2026 (le prime 200 dovranno essere pronte entro il 2024) con l’obiettivo di arrivare a un catalogo uniforme, con piena validità giuridica su tutto il territorio nazionale. Dall’ambiente all’edilizia, dall’energia al sociale, con interventi mirati alle fasce più fragili, a cominciare dai disabili, dobbiamo eliminare le autorizzazioni non necessarie, le duplicazioni, gli appesantimenti e, soprattutto, le vessazioni. Più silenzio assenso, più Scia e, ovunque si potrà, largo alle semplici comunicazioni. Oltre ai colli di bottiglia già eliminati, nel secondo decreto PNRR è contenuto un altro pacchetto di misure per spingere in questa direzione. I termini di conclusione dei procedimenti amministrativi previsti dalla legge 241/1990 saranno dimezzati. La riduzione sarà accompagnata da un impegno senza precedenti nei controlli sui tempi, con monitoraggi automatizzati e il supporto dei 1.000 esperti in forze alle Regioni, che sono stati selezionati in tempi record, lo scorso dicembre, grazie al portale inPA. Nel testo saranno rafforzare anche la customer satisfaction e la valutazione della performance. Erano i miei obiettivi già nel 2009, come la total disclosure e la tracciabilità dei procedimenti, con la responsabilizzazione massima dei dirigenti. Semplificare vuol dire garantire trasparenza e misurare la soddisfazione di cittadini e imprese. Il mercato ha come determinante i prezzi e l’equilibrio tra domanda e offerta. La PA, che deve produrre beni e servizi pubblici, ha bisogno di un’altra segnaletica, come ci insegnava Albert Hirschman: exit, voice e loyalty. La possibilità di uscire dal sistema pubblico, se non funziona, la voce agli utenti e la fiducia tra cittadino e Stato.
Come si immagina un percorso di formazione di un dirigente pubblico sia propedeutico all’entrata, sia secondo il modello di life long learning?
Non me la sto solo immaginando. Per la prima volta questo Governo sta finanziando la formazione con un piano che, semplicemente, non ha eguali nella storia della Pubblica Amministrazione italiana. Non penso ci sia una formazione unica propedeutica all’entrata nei ruoli dirigenziali: il nostro corso-concorso della SNA è aperto a tutte le discipline e sempre più la Pubblica Amministrazione ha bisogno non solo di giuristi, ma di economisti, ingegneri, informatici, statistici, project manager e molte altre discipline, anche per i ruoli dirigenziali. L’innovazione fondamentale è che, grazie alla nostra riforma, i concorsi per l’accesso alla dirigenza non sono più nozionistici, ma basati sulle competenze acquisite, anche sul campo. Una novità coerente con un sistema di gestione del capitale umano basato sulle competenze. Anche la formazione, di conseguenza, non può essere nozionistica, ma applicativa e legata al saper fare. Lo stesso vale per i passaggi dalla prima alla seconda fascia e per la mobilità della dirigenza tra enti, che abbiamo liberalizzato. Queste modifiche mettono la dirigenza nella posizione di giocarsi il percorso di carriera focalizzando meglio il proprio profilo e acquisendo competenze sempre più riconoscibili e spendibili. Nella rinnovata SNA troveranno un ambiente adatto per rispondere a queste esigenze formative: oltre alla formazione specialistica, sono molti i master che la SNA propone in collaborazione con le principali università del paese. I master furono un’innovazione che introdusse la SNA ai tempi del mio primo incarico a Palazzo Vidoni, quando ancora si chiamava SSPA. Da allora le partnership con le università sono aumentate e oggi la Presidente, Paola Severino, ha il mandato di rilanciare la SNA aprendo ancora di più alle collaborazioni virtuose, anche su scala internazionale: un primo passo concreto è l’attuazione del Trattato del Quirinale, che ci vede cooperare maggiormente con la Francia, anche grazie a un programma di scambi di studio e di lavoro tra la nostra dirigenza pubblica e la loro. L’8 marzo scorso ho firmato, a questo scopo, una Dichiarazione di intenti con la Ministra francese Amélie de Montchalin. I partenariati tra le nostre Scuole saranno rafforzati.
Infine, Le chiedo quale messaggio vuole mandare al sistema ASFOR e APAFORM. La prima è l’Associazione delle Scuole di Management e delle Corporate Academy, la seconda è l’Associazione di individui ossia dei formatori di management. Quale tipo di collaborazione si aspetta da questo mondo?
La formazione manageriale è certamente fondamentale anche per la dirigenza pubblica, soprattutto in questa fase, in cui occorre che siano ben gestiti i 235 miliardi di euro del PNRR, tra fondi europei e fondi aggiuntivi nazionali: il più grande piano di investimenti pubblici che il nostro Paese abbia mai conosciuto. Per questa ragione, il lavoro che i soci di APAFORM svolgono e svolgeranno nelle loro attività presso enti pubblici a supporto di questa missione è certamente fondamentale e li ringrazio per la professionalità che sanno e sapranno sempre più mettere in campo. Penso che si apriranno nuove opportunità rispetto al passato in questo ambito.
Del lavoro di ASFOR, ho in grande considerazione il contributo che ha svolto negli anni, con riferimento soprattutto al sistema di accreditamento. Tanto più in una fase di grandi investimenti in formazione, è fondamentale poter fare affidamento su istituzioni riconosciute e il meccanismo di accreditamento ha mostrato di essere non solo una garanzia di qualità, ma anche un importante vettore di innovazione e sviluppo per chi si sottopone al processo. Penso che sia un’esperienza da tenere in gran conto in questa fase, anche per la formazione nella PA.
IL PERSONAGGIO
Economista, politico, saggista, Renato Brunetta dal febbraio 2021 è Ministro per la Pubblica Amministrazione nel Governo Draghi. Europarlamentare di Forza Italia dal 1999 al 2008, parlamentare di Forza Italia dal 2008, presidente del gruppo parlamentare alla Camera dei deputati dal 2013 al 2018, è stato rieletto, da ultimo, a marzo 2018 alla Camera dei deputati. Già Ministro nel Governo Berlusconi IV (2008-2011), è stato consigliere economico nei Governi Craxi (1986-1987) e Ciampi (1993-1994).Professore Ordinario di Economia del lavoro presso l’Università di Roma Tor Vergata, ha insegnato nelle Università di Padova, Venezia e Roma. Nella sua attività accademica è autore di numerose pubblicazioni scientifiche e di volumi in tema di economia del lavoro e relazioni industriali: Nella sua attività accademica è autore di numerose pubblicazioni scientifiche e di volumi in tema di economia del lavoro e relazioni industriali, in particolare: “Microeconomia del lavoro. Teoria e analisi empiriche” (Marsilio Editori, 1987), “Disoccupazione, isteresi e irreversibilità. Per una nuova interpretazione del Mercato del lavoro” (ETAS libri, 1992), “La fine della società dei salariati” (Marsilio Editori, 1994), “Economia del lavoro” (UTET, 1999). Dal 2009 a oggi ha pubblicato “Sud. Un sogno possibile” (Donzelli Editore, 2009), “Rivoluzione in corso” (Mondadori, 2009), “La mia politica” (Marsilio Editori, 2011), “L’occasione della crisi” (Rubbettino, 2011), “Il grande imbroglio 2” (Marsilio Editori, 2013), “Il grande imbroglio 3” (Marsilio Editori, 2014), “La mia utopia. La piena occupazione è possibile” (Mondadori, 2014), “Berlusconi deve cadere. Cronaca di un complotto” (Il Giornale, 2014), “Cronache economico politiche della pandemia” (Free, 2020).
Editorialista per le più importanti testate italiane, ha ricevuto molteplici riconoscimenti, tra cui il Premio Saint-Vincent per l’Economia (1988) e il Premio Scanno per la migliore opera di relazioni industriali (1995).