In un mondo che concede sempre meno punti di riferimento diventa fondamentale sviluppare una competenza che sostenga nel tempo la spinta continua a imparare. Manuela Brusoni, Paola Egi e Sabrina Dubbini hanno approfondito il tema per il consueto appuntamento con la rubrica Idee di Qualità
È di alcuni anni fa la diffusione dell’acronimo VUCA, per indicare l’insieme delle caratteristiche qualificanti lo scenario che si andava definendo a livello mondiale: Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity. Creato alla fine degli anni ’80 in un ambiente militare, si proponeva di identificare sinteticamente la situazione che si era delineata alla fine della Guerra Fredda; si è successivamente esteso ad altri settori a partire dall’inizio del 2000, per sottolineare la necessità, in un mondo volatile, incerto, complesso e ambiguo, di gestire situazioni poco codificabili e con caratteristiche così mutevoli e impreviste da richiedere un approccio meno convenzionale e più flessibile.
Se da un lato questo sembra indicare l’assenza, o l’abbandono, di qualunque paradigma strutturato di azione, la risposta pratica manifesta piuttosto un cambio di codice interpretativo e attuativo che, come anche i recenti avvenimenti pandemici hanno mostrato, richiede in realtà molta preparazione, capacità di anticipare effetti e di costruire ex-ante alternative realmente praticabili e sostenibili, anziché rincorrere ex-post a prassi consuete, ma non più efficaci. La soluzione quindi, apparentemente contro-intuitiva, è l’adozione nel concreto di un modello decisionale strutturato di preparazione e pianificazione, anticipazione e gestione dei rischi, prontezza di risposta ai cambiamenti e identificazione di soluzioni.
Il mondo dell’educazione non poteva restare estraneo a questo flusso propulsivo che, in modo più o meno euristico, ha portato alla ridefinizione dei modelli di apprendimento e alla ricerca di nuove competenze. Anche il modo di intendere e promuovere la qualità dell’educazione manageriale, forse la più esposta alla domanda di una leadership strategica che incorpori nuove capacità di azione, è cambiato e offre interessanti ambiti di riflessione. Come è noto, una componente essenziale dei processi di apprendimento è la verifica delle competenze attese alla conclusione di un percorso educativo. La durata dello stesso, il profilo delle persone coinvolte, l’ambiente educativo, le soluzioni tecnologiche hanno influenza sulla progettazione e realizzazione del programma, ma la decisione chiave alla base di ogni verifica successiva è la chiara identificazione e declinazione delle competenze attese. Facile? Dipende!
Una guida utile è ritrovabile nei sistemi di assessment della qualità dell’educazione manageriale. Questi modelli infatti costituiscono il consolidamento di una base molto ampia di osservazioni, esperienze e contributi per il miglioramento dell’efficacia e dell’impatto dei percorsi formativi e, in ultima analisi, dello sviluppo personale e professionale delle persone che vi partecipano. Sono due i passaggi chiave che hanno caratterizzato la ricerca di una tassonomia descrittiva e valutativa delle competenze. Il cambiamento più recente, sollecitato dal sistema di accreditamento internazionale AACSB nella nuova versione degli standard 2020, riguarda una modifica non solo formale ma anche sostanziale nell’utilizzo della terminologia: in un programma educativo di qualità è necessario definire la “learning competency”, in luogo della tradizionale consueta locuzione di “learning goal”. Ciò afferma la necessità di spostare l’osservazione da un obiettivo di apprendimento molto focalizzato sul contenuto, content-centered, alla competenza che tale obiettivo si propone di generare, non solo in termini descrittivi (la conoscenza esperta di ambiti disciplinari e manageriali) ma soprattutto in termini di applicazione concreta di tali conoscenze, avendo come focus il discente, learner-centered.
Precedentemente, nei primi anni 2000, L. Dee Fink scrisse un testo fondativo sulla qualità dell’educazione: “Creating significant learning experiences”[1] che ha riorientato in modo coinvolgente e stimolante la tassonomia descrittiva e identificativa di un buon processo di apprendimento. Fink scriveva: “Individuals and organizations involved in higher education are expressing a need for important kinds of learning… we need a new and broader taxonomy of significant learning… With an awareness of this need in mind, I have reviewed descriptions of high-quality teaching and learning and have attempted the task of creating a new taxonomy, one that describes new kinds of significant learning”.
La sua proposta, oggi più che mai valida, si è spostata dall’apprendimento cognitivo a quello che egli definì apprendimento “significativo”, generatore di cambiamento durevole. Da questa concezione sono emerse alcune dimensioni educative, tra le quali la più rilevante, a giudizio di chi scrive, è “imparare a imparare” – learning how to learn. Sviluppare una competenza che sostenga nel tempo la spinta continua a imparare, che conduca all’approfondimento e alla rielaborazione delle conoscenze, che renda gli studenti più autodiretti e non passivi, ma intenzionalmente portati a imparare nelle più varie circostanze e condizioni, è certamente un insegnamento per la vita, professionale e sociale.
Oggi questa competenza è decisiva sia per chi, già esperto, deve aggiornarsi in un mondo del lavoro che si ridefinisce a volte in modo così repentino da risultare quasi catastrofico, sia – e soprattutto – per chi, giovane, si affaccia a esperienze lavorative che richiederanno flessibilità, lucidità, consapevolezza e capacità di autogestire il proprio sviluppo lavorativo come non è mai avvenuto in precedenza. D’altra parte, uno sguardo alle 10 competenze essenziali da qui al 2025 che il World Economic Forum ha indicato recentemente mostra al secondo posto della graduatoria “Active Learning and Learning Strategies” come componente importante della capacità di self-management. Forse una riscoperta più che una novità assoluta…
La proposta è quindi di valorizzare nei programmi di educazione manageriale di qualità, e in particolare quelli rivolti ai giovani, lo sviluppo della competenza e dell’attitudine all’apprendimento continuo, che, pur potendo essere riconosciuta come naturale predisposizione dell’individuo ad esplorare e crescere, deve essere incoraggiata per nutrire con continuità le idee e gli obiettivi che lo ispirano. In uno scenario in veloce trasformazione l’apprendimento continuo, sia per l’ingresso dei giovani in azienda sia per l’aggiornamento e la riqualificazione di competenze delle persone con esperienza, diviene il nuovo campo da gioco per le prossime sfide di competitività aziendale. La spinta e la motivazione a imparare si sviluppano anche grazie a programmi di high quality learning che mettano in primo piano il riconoscimento progressivo delle competenze piuttosto che il conseguimento di titoli certificati.
Per i giovani il suggerimento è di scegliere quei programmi in cui lo sviluppo dell’apprendimento continuo è consapevolmente ed esplicitamente evidenziato in termini di: sviluppo di nuove competenze, capacità di reagire ed affrontare cambiamenti repentini e imprevisti gestendo lo stress conseguente, empatia e adattabilità, intelligenza emotiva. I giovani che entrano nelle organizzazioni devono essere oggi più che mai destinatari di un percorso educativo che, valorizzando in modo appropriato il loro curriculum universitario, sostenga in modo mirato e specifico il percorso di apprendimento aziendale. È auspicabile che l’interesse dei giovani neoassunti per una formazione continua si rinforzi con l’opportunità di riconoscimento (accreditamento) delle competenze sviluppate, che “raccolte” in un ideale portfolio personale, li accompagnerà per tutto il loro percorso professionale. Ne consegue che i programmi di apprendimento loro destinati dovranno sempre più caratterizzarsi come programmi learner centred, cioè centrati su un processo cumulativo di competenze, nella direzione utile a valorizzare attitudini e talenti individuali.
Per le imprese, in conformità con le linee guida del PNRR nazionale in tema di formazione e apprendimento continuo di competenze utili per lo sviluppo, la formazione in impresa si focalizza sulla necessità di adeguare il capitale lavorativo dell’impresa ai driver di sviluppo competitivo del Paese, vale a dire innovazione e sostenibilità. Le imprese hanno l’opportunità di costruire percorsi di apprendimento continuo centrati sulla learning competency per dotarsi di quelle capacità nuove richieste dalle trasformazioni tecnologiche, dalle emergenze sociali e sanitarie, dalle mutate condizioni di sicurezza che hanno portato trasformazioni repentine non solo nei programmi di vendita e nelle pianificazioni strategiche delle imprese, ma anche nei programmi e nei percorsi di carriera delle persone, incidendo a volte anche sul benessere psicofisico e sull’adattabilità dei propri collaboratori. Su quest’ultimo punto la motivazione e la collaborazione delle imprese sarà fondamentale sia per la sostenibilità economica dei programmi (come l’inserimento in piani finanziabili dall’azienda), sia per l’accessibilità intesa come possibilità di conciliare i programmi formativi con la disponibilità oraria e con i piani di sviluppo delle risorse umane in azienda.
[1] L. Dee Fink, “Creating Significant Learning Experiences: An Integrated Approach to Designing College Courses”, Jossey-Bass – 2003 (Revised and Updated: August 2013)