Economie del futuro

I processi di apprendimento sono digitali o sono inutili?

Ottovolante dell’economia

Inizio questo contributo parafrasando la frase di un CEO di una grande multinazionale che alcuni anni fa affermò: «Conosco solo due tipi di imprese, quelle veloci e quelle morte». Si potrebbe dire che “esistono solo due tipi di apprendimento: quello digitale e quello inutile se non dannoso”.

Posso proseguire parafrasando l’aforisma della saggezza: «Un tale disse sono saggio perché conosco molti saggi, ma il saggio rispose anche io conosco molti ricchi ma questo non mi ha fatto ricco». Si potrebbe dire che non basta frequentare convegni e seminari sulla formazione digitale per diventare buoni attivatori di processi di apprendimento utili a diventare manager nella società digitale.

Gli strumenti digitali consentono di acquisire le conoscenze sui metodi e le tecniche contabili, ma ciò non vuol dire conoscere come e in che modo trarre dalle rilevazioni le informazioni utili per valutare l’andamento di un’impresa, la sua situazione di forza o di debolezza attuale e per pianificare lo sviluppo futuro. Queste competenze si possono acquisire interagendo con altri manager e con docenti-facilitatori che hanno acquisito una lunga esperienza sul rapporto tra informazioni contabili ed extra contabili e solidità della pianificazione. Durante un corso sulla strategia, il docente-facilitatore può affidare a piccoli gruppi l’analisi della strategia di varie imprese in sostituzione del metodo classico dei casi. I partecipanti, avendo accesso via Internet a documenti delle varie aziende, alle dichiarazioni dei rispettivi CEO, alle scelte su prodotti e mercati, possono individuare i connotati caratterizzanti della strategia, valutarne la coerenza con la missione e la visione dichiarate e presenti sul sito, i punti di forza e gli eventuali rischi in relazione alla situazione economica e geopolitica attuale.

Durante un corso di marketing che riguarda il lancio di un nuovo prodotto, i partecipanti possono lanciare una breve indagine utilizzando i propri gruppi WhatsApp, raccogliere in poche decine di minuti un numero sufficiente di risposte sull’utilità percepita di quel prodotto e sulla disponibilità ad acquistarlo. Gli strumenti digitali consentono di effettuare un test pilota, prima di approfondire le conoscenze con sofisticate ricerche di mercato. Durante un corso sul finanziamento delle start up i partecipanti possono avere accesso ad informazioni sui “round di raccolta fondi” nei diversi step di sviluppo dell’idea imprenditoriale e quindi valutare la possibilità di avere accesso a finanziamenti di venture capital, private equity, ecc.

Facendo ricorso a sistemi di intelligenza artificiale, ad esempio ChatGPT e sue evoluzioni future, il docente può chiedere di preparare set di slide su vari argomenti e ottenere un ottimo risultato. Qualcuno potrebbe illudersi di diventare competente in tanti campi, ad esempio di sistemi manageriali, con il rischio però di diventare solo un imbonitore. L’apprendimento è qualcosa di ben più solido dei semplici strumenti in quanto è un mix di conoscenza (scienza), arte (capacità di adattare le conoscenze e di innovare), tecnica (conoscenze applicate e modificate con l’esperienza), relazioni (trasmissione del sapere implicito), valori (che si percepiscono tramite le relazioni). Questo mix non può essere creato solo con strumenti, ma si crea quando le persone interagiscono. Certamente gli strumenti digitali possono aiutare, perché, ad esempio, è possibile attivare “comunità di pratica” anche a distanza. Tuttavia, è indubbio che trasmettere l’empatia e far percepire i propri valori tramite una piattaforma richiede capacità diverse dalla presenza in aula.

Al riguardo, posso citare due esperienze personali. Nella seconda metà degli anni ’80 stavo svolgendo un corso di formazione su temi organizzativi ed economici rivolto ai medici di un grande ospedale milanese. Una giovane collega era seduta tra i partecipanti per apprendere come imparare a gestire quei temi in futuri corsi. A metà del pomeriggio uno psicologo che era davanti a lei si rivolse al collega con questa frase “questo è un bel tipo, crede davvero alle cose che dice”. L’interpretazione poteva essere duplice. La prima, negativa, può essere sintetizzata in questi termini “crede davvero che queste cose servano ai medici che invece hanno altri problemi perché si occupano della vita e della sofferenza di persone e quindi stiamo perdendo tempo”. Quella positiva è sintetizzabile nei seguenti termini “crede davvero all’utilità di ciò che dice e non si limita a dirci alcune cose solo per denaro”. Ancora oggi, ho il dubbio su quale interpretazione dare a quella affermazione. Un secondo esempio mi deriva da interventi fatti durante e dopo il Covid utilizzando le piattaforme. Dalle valutazioni dei partecipanti è stato sottolineato questo aspetto: “Il docente ci ha motivato con il suo entusiasmo e l’adrenalina che dimostrava di avere in corpo rispondendo anche alle nostre domande”. Non ho detto questo per autocelebrazione perché “chi si loda si imbroda” ma solo per mettere in evidenza l’importanza della coerenza tra ciò che si dice e ciò che si trasmette. Parlare di apprendimento digitale significa innanzitutto capacità di distinguere chiaramente il fine dagli strumenti. Il fine è quello di stimolare la cultura e l’attitudine al cambiamento per generare valore condiviso all’interno e con l’ambiente nel quale imprese, amministrazioni pubbliche ed enti del terzo settore sono inseriti e non per fare carriera o per perseguire la massimizzazione del profitto (nel privato) o il semplice equilibrio di bilancio (nel pubblico).

Gli strumenti digitali devono essere subordinati a questo fine. Se gli strumenti sempre più potenti sono utilizzati senza far chiarezza sul fine rischiano di diventare un’ulteriore illusione o grande imbroglio della società moderna. Un’ultima annotazione riguarda un’apparente contraddizione. Come possono guidare e facilitare processi di apprendimento digitale persone che non si sono formate in questa cultura? Questa contraddizione può essere risolta applicando la logica del “coaching bidirezionale” o “reverse coaching”. I docenti-facilitatori e i manager possono trasferire ai partecipanti l’esperienza e le conoscenze consolidate, mentre i giovani o comunque chi ha maggiore conoscenza degli strumenti digitali può condividere la conoscenza delle potenzialità che esse hanno.

 

 

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