Con la cultura si mangia? Sembra essere questa la domanda che più e prima delle altre si presenta a chi in qualità di professionista, di fruitore o anche soltanto di osservatore esterno guarda al mondo della cultura. Sono tanti gli intellettuali e i politici che hanno risposto al quesito raccontandoci che anche con la cultura si può mangiare perché forse, come scrive Andrea Camilleri, anche Eva nel mangiare e consegnare la mela ad Adamo ha fatto cultura, ma a sostegno della teoria vengono in soccorso anche solidi dati quantitativi.
Il report “Io Sono Cultura”, che la Fondazione Symbola elabora annualmente, ci restituisce nel dettaglio il peso e il ruolo della cultura e della creatività nell’economia nazionale, fornendo un quadro statistico dettagliato dell’impatto che ha la cultura nei territori. Se all’industria culturale propriamente detta – architettura e design, audiovisivo e musica, videogiochi e software, editoria e stampa, performing arts e arti visive, patrimonio storico e artistico – sommiamo anche i dati relativi ai professionisti attivi con mansioni culturali e creative in settori propriamente non culturali, scopriamo che il settore impiega, in Italia, 1.445,6 mila unità, su circa 25 milioni di individui impiegati nell’economia italiana. Il 5,8% della popolazione della Penisola sembra appunto mangiare grazie alla cultura.
Il settore culturale e creativo diventa quindi chiave per quanto riguarda l’occupazione in Italia ma i dati appaiono ancora più interessanti se guardiamo all’impatto che i settori culturali e creativi hanno sull’economia nazionale e al loro effetto moltiplicatore. La cultura genera infatti ogni anno un valore aggiunto pari a 84,6 miliardi di euro (5,7% del valore totale dell’economia italiana pari a 1.490,6 miliardi) che diventano 155,2 miliardi di euro (10,4%) se guardiamo anche al valore indirettamente generato in altre economie.
Ecco, quindi, che il ruolo del settore nell’economia del Bel Paese non può essere considerato marginale e, anzi, anche i dati elaborati da KEA[1], su commissione del Fondo Europeo di Investimenti, ci parlano di un settore strategico su cui investire. L’analisi di mercato elaborata guarda alle cifre alla base della crescita del settore culturale e creativo europeo, prima della pandemia, e ci racconta che la cultura rappresenta, in media, il 5,5% del valore aggiunto degli Stati membri dell’UE, in continua crescita dal 2013 e che il settore impiega in media il 6,2% della forza lavoro degli Stati membri.
Osservando questi indicatori macroeconomici, il settore culturale e creativo diventa facilmente equiparabile ad altri settori economici, comunemente considerati chiave, come i settori delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, dell’housing e dei servizi alimentari, imponendosi quale risorsa strategica dell’economia dell’UE.
La centralità della cultura per lo sviluppo dei territori sembra quindi un dato abbastanza consolidato e le recenti politiche culturali sembrano confermare una tendenza positiva a sostegno dell’investimento nel settore. È il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che tra gli investimenti strategici (prevede di investire 2 miliardi e 400 milioni di euro per la cultura) invita proprio a ristrutturare gli asset chiave del patrimonio culturale italiano e a favorire la nascita di nuovi servizi, favorendo la partecipazione sociale come leva di inclusione e rigenerazione. Si parla a tal proposito di patrimonio culturale per la prossima generazione, di rigenerazione di piccoli siti culturali, del patrimonio culturale religioso e rurale e di industria culturale e creativa 4.0.
La pandemia ha colpito duramente il settore culturale e creativo (riducendo il valore aggiunto generato dal settore dell’8,1% e l’occupazione del 3,5%) ma ha anche modificato e reindirizzato le scelte del pubblico, che ha recuperato la prossimità territoriale e rinnovato l’interesse per l’offerta digitale messa a disposizione.
Sono quindi nuove, come sottolineano le ricerche sopracitate, le tendenze chiave che stanno rimodellando il settore creativo e culturale alla luce anche della digitalizzazione e dell’innovazione tecnologica, ma anche e soprattutto di una maggiore consapevolezza ambientale, di nuovi modelli di business e di modalità di lavoro più collaborative. È tornato centrale il ruolo della cultura come mezzo per plasmare, coinvolgere e “coltivare” la comunità, per dare forma alla città e ai territori, consapevoli del valore economico ma anche sociale del settore.
Proprio affinché il settore creativo e culturale possa realmente rappresentare oggi il volano per lo sviluppo dei territori e delle comunità diventa però sempre più necessario formare e educare al valore della cultura. È indispensabile che a guidare questo cambiamento siano manager culturali, formati per sviluppare strategie di lungo periodo, basate su una profonda conoscenza del contesto competitivo di riferimento e consapevoli dell’unicità del patrimonio culturale rappresentato. Sviluppare le competenze necessarie per una gestione agile e dinamica del nostro patrimonio diventa condizione necessaria per fare del settore culturale e creativo un settore chiave per lo sviluppo dei territori, su cui poter investire e con cui mangiare.
Oggi, in questa fase di ripartenza, la cultura e la bellezza possono tornare ad avere un ruolo chiave nella ripresa economica e sociale italiana. La capacità del settore di generare innovazione e garantire valore economico e sociale ai territori e alle comunità, conferma che l’investimento in cultura non può che essere una strategia di sviluppo vincente, come già affermava l’economista canadese-americano John Kenneth Galbraith, che, negli anni ’50, spiegava il miracolo della ricostruzione italiana del dopoguerra, affermando proprio che il segreto, il vero motivo, fosse che l’Italia fosse riuscita a incorporare nei suoi prodotti una componente essenziale di cultura e bellezza.
[1] KEA European Affairs ha coautorato il report “Market Analysis of the Cultural and Creative Sectors in Europe” commissionato dall’European Investment Fund (EIF) all’interno del programma Cultural and Creative Sectors (CCS) Guarantee Facility Capacity Building.