Andriani SpA, azienda di Gravina in Puglia, è considerata tra le più importanti realtà nel settore dell’innovation food, con uno stabilimento interamente dedicato alle produzioni gluten free. Da sempre il gruppo si impegna a ideare, sviluppare e produrre una gamma completa di pasta senza glutine innovativa e dal gusto unico, da una varietà di ingredienti naturalmente gluten free quali: riso integrale, mais, grano saraceno, lenticchie, piselli ed altri. Organizzazione dinamica, ricerca, innovazione e impegno nella sostenibilità economica, ambientale e sociale, con azioni concrete e buone pratiche nei confronti di tutti gli stakeholder, sono i fattori che guidano le performance dell’azienda. Di questo abbiamo parlato con Michele Andriani, Presidente e AD di Andriani SpA Società Benefit.
Quale è stata la motivazione che l’ha spinta a definire un business model innovativo? È stata una scelta razionale o vi è stata l’influenza di valori personali e familiari?
L’innovazione è nel DNA dell’azienda dalla sua fondazione nel 2009, quando abbiamo scelto di osservare il cibo da una prospettiva nuova proponendo pasta innovativa di alta qualità a base di materie prime naturalmente gluten free come legumi e cereali. Ci ha guidati la volontà di offrire alle persone un prodotto gustoso, salutare e “giusto” e di declinare un concetto esteso di “benessere” rivolto ai consumatori, al territorio, all’ambiente, alla collettività.
Sicuramente vi sono state difficoltà all’inizio e nella fase di consolidamento del nuovo approccio. Quali sono state le più rilevanti e come sono state affrontate? Quale è stato il ruolo dei collaboratori ai vari livelli?
Non vi è una differenza sostanziale tra la vita di un’impresa e la vita di una persona: col tempo si cresce, si cambia, ci si evolve. Così è stato per noi, che abbiamo iniziato come azienda di matrice familiare per poi affrontare, nel 2020, un momento di grande trasformazione. In piena pandemia, infatti, abbiamo avviato e gestito la fase di transizione a impresa manageriale, adottando un nuovo regolamento di corporate governance per implementare una gestione sempre più efficiente, e deliberato la trasformazione in Società Benefit. Una scelta, quest’ultima, che significa integrare, nell’esercizio dell’attività d’impresa, obiettivi volti sia al profitto sia al beneficio comune, operando in modo sostenibile e responsabile con la volontà di creare e distribuire valore per tutti gli stakeholder. Questo percorso di crescita, economica, dimensionale ma soprattutto valoriale, non sarebbe stato possibile senza l’impegno e la partecipazione di tutto il management e dei nostri collaboratori, insieme ai quali ci siamo profondamente impegnati in questi anni nella creazione di una cultura aziendale condivisa ed inclusiva, che mette al centro innanzitutto le persone.
Oggi si parla tanto di “nuovi imprenditori”: che significato ha per Lei il concetto di “nuovi”? non ritiene che nuovi imprenditori significhi di fatto ritornare all’origine dell’idea di imprenditore consapevole del suo ruolo sociale?
In Italia, dal dopoguerra a oggi, senza dubbio il più fulgido esempio di imprenditoria illuminata è rappresentato da Adriano Olivetti, precursore del moderno welfare e della responsabilità sociale d’impresa. Ma ce ne sono stati e ce ne sono tuttora anche altri. Del resto, l’economia del nostro Paese è sorretta da una rete di piccole e medie imprese, che, nel territorio in cui operano, assumono un ruolo centrale e di riferimento per il tessuto sociale. Si tratta di un tipo di realtà aziendale probabilmente più difficile da traslare all’interno di grandi imprese e grandi gruppi, almeno fino a oggi impostati secondo logiche e strategie differenti. La pandemia, però, ha fatto prepotentemente emergere quanto flessibilità e capacità di adattamento, che di fatto dipendono da investimenti in innovazione e sostenibilità, dalla capacità di trasformazione dei processi, dalla valorizzazione delle risorse umane, siano fondamentali per affrontare eventi di grande portata. A mio parere, dunque, oggi con “nuovi imprenditori” si definiscono coloro in grado di imprimere all’intero ecosistema aziendale, a tutti i livelli, un mindset flessibile, inclusivo e collaborativo basato su valori condivisi.
Nel PNRR è previsto un programma chiamato GOL (Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori). Secondo Lei cosa bisognerebbe fare per declinare il termine di “garanzia”? E semplicemente un problema di upskilling e reskilling, come si dice, o ci vuole altro?
Ritengo giusto e lodevole che lo Stato metta in campo nuovi strumenti di politiche attive per promuovere la riqualificazione della forza lavoro, soprattutto in un periodo storico come quello attuale in cui, con il tema della digitalizzazione imperante, il disallineamento tra domanda e offerta rischia di ampliarsi. Il proposito del GOL è di rendere più appetibili sul mercato del lavoro i soggetti più svantaggiati, coinvolgendo entro il 2025 tre milioni di persone in difficoltà occupazionale attraverso percorsi formativi di ricollocazione, secondo una logica di “personalizzazione”. Un obiettivo importante che però, a mio modesto avviso, rischia di scontrarsi con un potenziamento del personale dei centri per l’impiego ancora in drammatico ritardo, soprattutto al Sud, e con l’assenza di un data center unico nazionale che metta davvero in relazione le necessità aziendali con la profilatura dei candidati.
Cosa possono fare gli imprenditori per contribuire ad affrontare il tema dei giovani NEET (Not in employment, education and training)?
Il fenomeno del NEET in Italia fotografa, in particolare, un disagio giovanile strettamente connesso alla delicata transizione dal sistema formativo al mercato occupazionale, che cresce all’aumentare delle difficoltà economiche del Paese di cui soprattutto i giovani sono i primi a fare le spese, spesso coinvolti in ruoli lavorativi precari e instabili con conseguenti scoraggiamento e perdita di motivazione. In questo contesto, le imprese e gli imprenditori possono dare il proprio contributo spiegando e dimostrando che le loro professionalità sono spendibili e che internamente all’azienda sono importanti non solo le competenze professionali tout court, ma anche gli aspetti personali (soft skills) che possono essere e vanno valorizzati.
IL PERSONAGGIO
Quarant’anni, radici pugliesi, una laurea in Economia e Finanza alla Notthingam Trent University di Notthingam (UK), Michele Andriani è Presidente e AD di Andriani S.p.A. Società Benefit. L’azienda di Gravina in Puglia, giovane e dinamica, è divenuta nel giro di pochi anni tra i primi player del mercato italiano della pasta naturalmente priva di glutine e punto di riferimento nel settore dell’innovation food. Specializzato in tematiche di sostenibilità ambientale e di economia circolare, Michele Andriani fin dal proprio esordio imprenditoriale, ispirato anche da un significativo incontro con Gunter Pauli e dal modello della Blue Economy, ha perseguito l’obiettivo di una crescita aziendale ecosostenibile, intesa anche come cambiamento generato dalla condivisione di conoscenze, puntando sull’innovazione di processi, prodotti e risorse. Ha preso parte in qualità di esperto in Innovation Food Processing a numerosi studi di ricerca ed è inoltre fondatore di Terre Bradaniche, società promotrice del primo progetto italiano dedicato alla coltura sostenibile delle leguminose. È stato insignito del Premio EY Imprenditore dell’Anno 2019 nel settore Food&Beverage.