Rivoluzione digitale e dintorni

Lo zaino digitale: apprendere e gestire la conoscenza nell’era dello Smart Work

Disruptive work @digital

Tutto, tutto, tutto, è memoria (Giuseppe Ungaretti, poeta)

Nel suo libro del 1981, “Percorso critico”, Richard Buckminster Fuller – architetto americano e teorico dei sistemi – costruì la cosiddetta knowledge doubling curve, dopo aver notato che fino al 1900 la conoscenza umana era raddoppiata circa ogni secolo mentre successivamente iniziava una vera e propria accelerazione. Già alla fine della Seconda Guerra Mondiale il raddoppio era ogni 25 anni. In tempi recenti, IBM ha aneddoticamente contribuito alla teoria di Fuller con un rapporto, prevedendo che entro il 2020 la conoscenza raddoppierà ogni 12 ore alimentata soprattutto dall’Internet of Things. Anche se diversi tipi di conoscenza hanno naturalmente diversi tassi di crescita, è oramai accertato che la conoscenza umana stia aumentando a un ritmo straordinario. La domanda è dunque quanto l’uomo è preparato a questi cambiamenti, quanto il suo processo di apprendimento e aggiornamento riesce a stare al passo con questa vera e propria deflagrazione conoscitiva.

Il dubbio che ogni giorno si fa sempre più certezza è però che l’essere umano non riesca a cogliere questa opportunità/necessità e che stia gradualmente diventando “antiquato” – per usare una felice espressione coniata dal filosofo Günther Anders -, inadatto cioè a vivere e operare in questo contesto in vorticosa trasformazione. Un interessante libro di Tom Nichols, “The Death of Expertise”, affronta il tema di petto: mai così tante persone hanno avuto accesso a una tale mole di conoscenze, eppure non sono state mai così resistenti a imparare qualcosa. Oggi, qualsiasi affermazione di competenza produce un’esplosione di rabbia da una parte della società, convinta che tali affermazioni non siano il risultato di una migliore conoscenza ma solo pericolosi “appelli all’autorità”.

La sfida non è solo continuare ad apprendere ma è anche – forse soprattutto – ricordarsi quanto si è appreso e riutilizzare, non da pappagallo ma in modo creativo e combinatorio, quanto si ricorda. Il rischio di dimenticarsi è quasi una certezza; basta pensare all’information overload della società digitale che crea stanchezza cognitiva e al progressivo invecchiamento che ci fa perdere neuroni. E quando ricordiamo poco e male non solo perdiamo informazioni preziose ma rischiamo anche di prendere decisioni in base alle ultime informazioni e conoscenze che ci ricordiamo, non necessariamente le più pertinenti.

Serve dunque un metodo, ma anche un contenitore che raccolga questa conoscenza e la (ri)organizzi per consentirne non solo la conservazione e il facile reperimento ma anche – e soprattutto – il (ri)utilizzo (idealmente in forma creativa). Un contenitore che organizzi i contenuti digitali e li renda accessibili dalla Rete, in qualunque momento e dovunque ci troviamo. Questo processo di raccolta sistematica di ciò che ci colpisce è dunque sempre più necessario.

Oltretutto, come ha osservato il filosofo Bo Dahlbom, «senza strumenti, a mani nude, il falegname non può fare granché. Anche il pensatore, il lavoratore della conoscenza, senza strumenti, con il solo cervello, non può fare granché». Che strumenti ci servono dunque per lavorare? E soprattutto se non ce li portiamo dietro quando facciamo Smart Work, per quanto tempo possiamo stare lontano dall’ufficio?

Un esploratore esperto non affronterebbe mai un viaggio senza uno zaino con tutto il necessario, anche per gestire gli imprevisti. Lo stesso vale per il nomade digitale, in grado di lavorare dovunque e per lunghi periodi. Per questi motivi il contenitore/strumento digitale della nostra conoscenza – o meglio lo “zaino digitale” – è sempre più vitale. Questa espressione si origina dalla potente metafora dello zaino, usata da George Clooney nel celebre “discorso dello zaino” uno dei climax del film “Tra le nuvole” di Jason Reitman (2009).

Il passaggio è noto: «Immaginate per un attimo di avere uno zaino sulle spalle, cercate di sentire le cinghie sulle vostre spalle. Ora dovete riempirlo con tutte le cose che avete nella vita. Cominciate da quelle piccole». Non vanno messe troppe cose, altrimenti lo zaino si appesantisce, ma tutte quelle importanti; non solo quelle che sappiamo ci serviranno ma anche quelle che ci potrebbero servire, magari per un’emergenza. Il lavoratore nomade del XXI secolo deve portarsi dunque sempre con sé uno “zaino digitale”, riempito con 3 tipologie di accessori: device, applicazioni software (app) e contenuti.

Uno degli aspetti che determinerà il vantaggio di un nomade digitale rispetto ai semplici smart worker sarà la ricchezza e articolazione dei contenuti presenti nel suo “zaino digitale”, contenuti che gli consentiranno di creare – da ogni luogo e ogniqualvolta sia necessario – un autentico valore aggiunto. Se sto svolgendo un compito creativo devo poter accedere alla mia conoscenza, a ciò che so, che ho imparato, che ho studiato, che mi ha colpito. E devo poterlo fare in modo sistematico.

Questo contenitore personale digitale deve quindi contenere idee, informazioni, pezzi di libri che ci hanno colpito, appunti sparsi e su cui stiamo lavorando, ricordi, curiosità: un contenitore dunque realizzato come sito web, uno spazio accessibile dovunque ci sia un collegamento alla Rete.

Questo contenitore digitale richiama naturalmente il concetto di biblioteca personale, anche se vi aggiunge la nozione di portabilità. Oltretutto la nostra biblioteca ci rappresenta, ci caratterizza. Notava Marguerite Yourcenar nel suo splendido “Memorie di Adriano” che «uno dei modi migliori per far rivivere il pensiero d’un uomo è ricostruire la sua biblioteca»: noi siamo anche ciò che leggiamo … ma non solo; come ci ricorda Umberto Eco: «Io sono la mia memoria. Senza memoria, la mia identità si dissolve e io scompaio».

E quindi lo “zaino digitale” non solo ci rende più efficaci ed efficienti, ma contribuisce a definirci, diventa sia una sorta di nostra memoria estesa sia una rappresentazione di noi stessi, dei nostri gusti, delle nostre preferenze: il nostro gemello digitale o meglio il nostro sé digitale, la nostra immagine e storia nel mondo digitale.

 

 

 

 

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