Per gestire con capacità e passione la macchina pubblica è necessario conoscere l’oggetto che viene gestito: il territorio, la sua storia ma anche le sue specificità, le sue idiosincrasie e soprattutto le sue unicità. Questa conoscenza è la base su cui costruire la formazione tecnico-professionale della PA. Avere una base non solida equivarrebbe a costruire un palazzo con le fondamenta nella sabbia: ogni expertise tecnica perderebbe di efficacia. Essere Civil Servant non è infatti solo un mestiere: è anche una missione attivata dall’orgoglio e dal senso di appartenenza.
Gli educatori dell’antichità anteponevano alla formazione professionale le arti liberali; perché ne erano la premessa, la conditio sine qua non. E allora che specificità devono avere le arti liberali della Pubblica Amministrazione? Non basta l’educazione civica; serve anche quella che potremmo chiamare educazione identitaria: conoscenza del nostro territorio, della nostra storia e soprattutto di quello che ancora oggi ci rende unici e differenti rispetto al resto del mondo. Senza questa conoscenza di base come si può gestire l’amministrazione di un Paese, come lo si può rispettare, come si può stare al suo servizio?
Ci può allora venire in soccorso il concetto di Grand Tour, che nasce verso la fine del XVII secolo e indica un viaggio di carattere formativo, o meglio tras-formativo, rivolto prevalentemente agli esponenti dell’élite nordeuropea di formazione classica, alla scoperta dei luoghi dai quali la loro cultura di riferimento è scaturita.
L’Italia svolge un ruolo fondamentale a questo riguardo perché giovani rampolli di famiglie aristocratiche, artisti e uomini di Stato vengono a toccare con mano i resti della cultura classica e a meglio comprendere le cause sia della sua genesi che del suo tramonto.
Tra delusioni e conferme, suggestioni e difficoltà logistiche, l’antico Grand Tour aveva comunque un forte valore ispirativo, sia per chi trovava riscontro alle proprie aspettative, sia per chi rimaneva deluso quando la realtà appariva diversa da quella immaginata. Questa dimensione trasformativa è mirabilmente descritta nei romanzi di formazione o Bildungsroman.
Il Grand Tour ha saputo trasformare alcuni importanti beni comuni italiani – la sua storia artistico-culturale, il suo paesaggio, una parte del suo popolo – in strumento di conoscenza, di ispirazione e di creatività e quindi in bene da rispettare, tutelare e valorizzare: un percorso, dunque, sulla bellezza e l’identità italiana.
A ben vedere l’origine di questi viaggi trasformativi è ancora precedente e si può ricondurre ai viaggi di carattere religioso la cui meta erano i luoghi devozionali oggetto di pellegrinaggio, in particolare Roma (proseguendo idealmente fino a Gerusalemme) e il cui fine era una maggiore comprensione di se stessi e una scoperta ravvicinata del divino.
Questo Grand Tour sette-ottocentesco non è però un retaggio del passato, ma l’esempio forse più fulgido del turismo formativo – quello autentico – capace di trasformare chi lo vive e di portare ricchezza nei luoghi visitati; e ci sono, oggi, tutte le condizioni e necessità per rilanciare il concetto di Grand Tour in Italia e la sua formula di Bildung, il completamento della formazione del carattere e delle competenze grazie a una esperienza tras-formativa che prende forma dal combinato disposto di turismo, formazione e relazione.
Idealmente il Grand Tour va praticato ma, in parte, può essere anche studiato e immaginato. Le potenti tecnologie digitali (soprattutto le realtà immersive o aumentate, o le foto da droni) consentono non solo di visitare i luoghi senza esserci ma anche di vedere dettagli e viste che ci sarebbero negate in presenza. Se poi queste visite vengono unite a percorsi formativi ad hoc, viene creata quella educazione identitaria necessaria sia al cittadino italiano per ricostruire un patto con il proprio territorio e la propria storia sia al funzionario della PA per completare la sua conoscenza di quel Paese di cui contribuisce alla sua amministrazione e valorizzazione.
Il nuovo Grand Tour del XXI secolo, dunque, punta a un’esperienza che deve essere naturalmente adattata alle logiche, le sfide e i bisogni della contemporaneità. Il motore formativo di questa esperienza è caratterizzato da tre dimensioni che potremmo definire le 3 P:
- Places: luoghi suggestivi da visitare e abitare per avere stimoli e ispirazione.
- People: testimonianze da ascoltare e persone da incontrare per creare legami con l’ispirarsi e il fare italiano.
- Proficiency: un percorso formativo che non si limita a completare le competenze ma che dà il senso e moltiplica il valore e l’ispirazione dei luoghi visitati e delle persone incontrate.
Oggi con la crisi dei modelli educativi e la massificazione delle Business School, nuove aspettative si proiettano sui viaggi di formazione. La maggiore differenza rispetto al Grand Tour del passato riguarda il fatto che i principali fruitori non appartengono necessariamente alle élite nobiliare ma piuttosto alla classe manageriale e creativa. Se poi guardiamo al di fuori del nostro Paese, vi è un numero crescente di giovani designer, architetti, stilisti di moda, urbanisti, food designer e artigiani/artisti interessati non solo alla grande bellezza italiana, ma anche ai luoghi, ai sistemi di produzione, ai materiali autoctoni e ai protagonisti che hanno reso possibile il suo successo e la sua notorietà internazionale. Esiste infatti un legame fondamentale tra questi fattori: potremmo quasi parlare di un vero e proprio ecosistema creativo in cui il territorio, i materiali, i sistemi di produzione industriali o artigianali, ma anche le tracce della storia e i landmark – artistici, culturali e paesaggistici – sono strettamente interconnessi.
L’Italia del Grand Tour (e forse non solo quella) si caratterizzava come il luogo dei contrasti estremi; luogo della bellezza più sofisticata e del degrado più sistematico, centro della spiritualità occidentale e realtà in cui è nata ed è stata teorizzata l’arte della macchinazione politica, territorio disseminato di eremi e romitori e città note per il lusso sfrenato e la vita libertina, spazi urbani caratterizzati dalla presenza sia dei grandi palazzi nobiliari dagli ambienti spaziosi, luminosi e ordinati sia di viuzze oscure, sporche e pericolose dove passava la sua vita il volgo. Era proprio questa presenza diffusa e continua di contrasti e polarità – contraddizioni apparenti che trovavano una sintesi nella nascente identità italiana – a dotare il contesto della potenzialità educativa così ricercata.
Questo dei contrasti è uno degli elementi formativi che caratterizzano la dimensione tras-formativa del Grand Tour. Ve ne sono naturalmente altri, ad esempio il dialogo incessante fra cultura e natura; per chi volesse saperne di più è appena uscito un libro (Roma e il nuovo grand tour. Ripensare il turismo nell’era del digitale e della pandemia, Luca Sossella Editore) – che ho pubblicato insieme a mia moglie Rita – dove questi concetti sono espansi.