Il coraggio dell'utopia

Il leader sospeso fra avvenire e futuro. Intervista a Silvano Petrosino

In una società dove tutto si progetta, in cui tutto deve essere sotto controllo e anche la sfera delle emozioni sembra non contemplare più fuori programma, la pandemia ha avuto lo stesso effetto di un terremoto su una megalopoli costituita da grattacieli senza fondamenta, lasciando macerie che appaiono come un monito per l’umanità, in particolare per le ricche società dell’Occidente. Non ha solo minato le nostre tante (troppe?) sicurezze, ma sembra aver messo in crisi la nostra capacità di immaginare il futuro, precipitandoci in una nebbia di incertezza. Abbiamo approfondito il tema con Silvano Petrosino, Professore Ordinario di Filosofia Teoretica presso l’Università Cattolica di Milano, dove insegna Teorie della Comunicazione e Antropologia religiosa e media, fra gli ospiti dell’undicesima edizione del Leadership Learning Lab di ASFOR e autore del libro “Lo scandalo dell’imprevedibile. Pensare l’epidemia”, pubblicato da Interlinea (2020).

La percezione del futuro è diventata incerta, influenzata da paure più che di speranze. La pandemia ha accelerato questo processo, mettendo ulteriormente in discussione abitudini, convinzioni, aspettative. Come è cambiato il nostro rapporto con ciò che è imprevedibile?

Il cosiddetto mondo avanzato ha vissuto a partire dal secondo dopoguerra una fase di benessere e di tranquillità. Le cose sono andate bene. In questo periodo, a partire dagli Anni ’50, abbiamo assistito a un incremento potenziale del ruolo della tecnologia. Quella scienza, nata con Galileo, ha iniziato a dare i suoi frutti, migliorando la qualità delle nostre vite sotto tanti punti di vista. In questa situazione, il Primo Mondo ha fatto l’esperienza di una capacità di controllo sulla realtà mai sperimentata prima. L’uomo ha sempre cercato di dominare il mondo, di dominare la vita, non è questa la novità. A fare la differenza oggi è lo sviluppo tecnologico, la scienza, quella medicina che ha contribuito a sconfiggere malattie gravissime. Questa epidemia, che in fondo si può considerare un fatto normale nella storia dell’uomo, ha finito col mettere in discussione il supposto potere dell’uomo occidentale. Abbiamo accusato con maggior forza il colpo proprio per questo motivo. In questo senso è cambiato il nostro rapporto con l’imprevedibile. Noi viviamo come uno scandalo cose che gli uomini del passato, forse anche per rassegnazione, percepivano come assolutamente normali. Vediamo il mondo attraverso questa lente distorta. Il Covid è andato a toccare un punto ancestrale, quello che vede l’uomo padrone di se stesso e della vita. In psicanalisi si definisce il “soggetto supposto padrone”. L’uomo si fa Dio. Biblicamente l’uomo è chiamato ad abitare la terra, ma abitarla non vuol dire conquistarla, o possederla, ma custodirla. Finché non si percepisce la potenza scientifica e tecnologica che segna questo periodo storico non si arriva a capire pienamente il perché possa essere così facile cadere in questa tentazione di onnipotenza.

Lei ha più volte messo in evidenza come il futuro sia sempre il futuro di un presente, mentre l’avvenire rappresenta ciò che non può essere previsto. Gran parte della nostra esistenza non è pianificabile: come possiamo superare la naturale frustrazione generata da questa presa di coscienza?

Il problema è considerare un progetto che non si realizza come un fallimento. È solo un qualcosa che capita nella vita e non dovrebbe generare frustrazione. Se io corteggio una donna e questa rifiuta il mio corteggiamento non posso dire di essere un fallito, perché la possibilità di un rifiuto è nell’ordine delle cose. Non posso chiamare frustrazione il fatto che io non riesca a controllare tutto. Ogni volta che facciamo un progetto dobbiamo mettere in conto che possa avvenire qualcosa al di fuori di esso. Critico l’idea che ci siano frustrazione e fallimento quando qualcosa non va secondo i nostri piani. Anzi, dovrebbe essere l’opposto: dovremmo avere la consapevolezza che le cose in genere non vanno mai secondo i nostri piani, poi talvolta i piani si avverano. Le persone mature, quelle più adulte, dovrebbero avere il compito di educare i giovani, aiutandoli a capire che il progetto non può essere il tutto nella vita. Invece, purtroppo, succede il contrario, soprattutto coloro che hanno accesso ai media passano un messaggio opposto, fuorviante, continuando a sostenere che vincere è l’unica cosa che conta, che nella vita bisogna arrivare per forza primi. È chiaro, una persona che suona può ambire a essere come Mozart, ma poi, molto probabilmente, sarà costretto a riconoscere il suo limite. Non farlo porta alla follia e all’essere distruttivo. Tutti vogliamo eccellere, però poi qualcuno dovrà dire a quel bambino che gioca a calcio e sogna di diventare un campione che, anche se non diventerà forte come Maradona, non sarà un fallito. Chi non è un vincente non è un fallito. La società di oggi confonde il compimento con il successo. Vincent van Gogh non ha venduto un quadro in vita sua, eppure è uno dei più grandi pittori della storia dell’arte. In questo caso c’è stato un compimento, senza successo. Picasso è un grande dell’arte che ha avuto fama e riconoscimenti durante in vita, in questo caso il successo è coinciso con il compimento. Il mio non vuole essere un elogio della mediocrità, ma il messaggio che voglio dare è che è necessario essere consapevoli della differenza che passa fra successo e compimento.

Sciamani, profeti… l’uomo ha sempre sentito la necessità di prevedere il futuro. In occasione del XI Leadership Learning Lab ASFOR Lei ha un po’ provocatoriamente sottolineato come l’algoritmo sia diventato lo sciamano del nostro tempo. Quali sono i limiti e i rischi di questa tendenza?

Il limite più grande è pensare che l’imprevedibile non possa esistere. Gli algoritmi funzionano, ma l’algoritmo funziona sempre secondo una certa misura e un certo taglio. Se uno non accetta il fatto che ci sia dell’imprevedibile che nemmeno l’algoritmo riesce ad anticipare, corriamo il rischio di cadere in una supposta onnipotenza che è l’anticamera del fallimento, perché prima o poi arriva la smentita. Ed è interessante quello che è avvenuto durante la pandemia rispetto ai dati. Sono tutti dati veri, non lo metto in discussione, ma ogni dato scientifico o matematico legge la realtà secondo un certo punto di vista e questo ha finito col generare una grande confusione. Non è la critica all’algoritmo, nessuno può criticare la scienza che è un dono di Dio, una meraviglia. Il problema è che neanche la scienza è tutto. Il rischio che io vedo è di concepire, anche inconsapevolmente, la scienza come un tutto. Così finisce col diventare una religione. La scienza va a occupare lo stesso posto che nel ‘600 aveva la magia, quando la magia era ciò che garantiva la certezza. L’incertezza è il segno di una perfezione dell’umano, non di un limite. È proprio perché c’è imprevedibilità che l’umano si esalta.

Lei sostiene che la realtà è molto di più di ciò che riusciamo a progettare: quale ruolo dobbiamo assegnare all’immaginazione?

L’immaginazione è questa cosa meravigliosa che va al di là dei progetti, al di là del prevedibile. È la creatività. È un fatto importantissimo che va oltre i calcoli e va sviluppata. Come si fa? Si deve studiare la storia dell’arte, ascoltare la musica, viaggiare. L’immaginazione va alimentata e ci sono delle discipline che aiutano a svilupparla. Al tempo stesso, però, nella parola immaginazione c’è il tema dell’immagine che è quella che uno si fa degli altri e di ciò che lo circonda. Ma la realtà eccede questa immagine che è un’espressione di noi. Quindi da un lato bisogna assolutamente sviluppare l’immaginazione, la dimensione del sogno, ma contemporaneamente non bisogna restarne prigionieri. Succede che per guardare da una parte non si veda quello che arriva dall’altra. Serve quella flessibilità che ci spinge a spostare lo sguardo per cogliere l’inatteso, che può essere una cosa bella. A volte aver imboccato la strada sbagliata è l’unico modo per prendere quella giusta. Non è tempo perso. Per sintetizzare il concetto in una frase si può dire che l’immaginazione è ciò che apre al futuro, ma spesso è ciò che chiude all’avvenire.

Noi siamo inevitabilmente autorizzati, forse anche incentivati, a immaginare l’avvenire e immaginandolo un po’ contribuiamo a farlo accadere. Lei dice che allo stesso tempo dobbiamo essere pronti ad accettare l’imprevisto e magari imparando da esso. Possiamo dire che la leadership comincia dove finisce l’utilità e la funzionalità dei dati?

Assolutamente. Parto da un discorso più ampio, citando la moralità. La moralità vera emerge quando finisce la legge. Con una provocazione potrei dire che la moralità è sempre al di là della legge. È quando non c’è qualcuno che ti dice cosa devi fare che scatta la vera moralità. Traslando il discorso, finché c’è il dato, che è certo, obbedisco al dato. Io penso che il vero leader sia colui che si serve dei dati, ma che allo stesso tempo è libero dai dati, è flessibile. Il leader è colui che è capace di accogliere l’imprevisto non come uno scandalo, di vedere il nuovo dove non lo si attende. La vera decisione è sempre al di là del dato, altrimenti è solo la conseguenza di un dato. Il vero leader inizia dove finisce il dato. Perché è l’imprevedibile ciò che permette all’uomo di rivelarsi come uomo, di fare le sue scelte.

 

IL PERSONAGGIO

Silvano Petrosino (Milano, 1955) è Professore Ordinario di Filosofia Teoretica presso l’Università Cattolica di Milano. Presso questa stessa Università attualmente insegna Teorie della Comunicazione e Antropologia religiosa e media. È inoltre titolare del corso di Antropologia del Sacro presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano ed è direttore dell’”Archivio Julien Ries per l’antropologia simbolica” presso l’Università Cattolica di Milano. Tra le sue ultime pubblicazioni: “Lo stare degli uomini. Sul senso dell’abitare e sul suo dramma” (Marietti 1820 2012); “L’idolo. Teoria di una tentazione. Dalla Bibbia a Lacan” (Mimesis 2015); “Emmanuel Levinas. Le due sapienze” (Feltrinelli 2017); “Contro la cultura. La letteratura, per fortuna” (Vita e Pensiero 2017); “Il desiderio. Non siamo figli delle stelle” (Vita e Pensiero 2019); “Lo spirito della casa. Ospitalità, intimità e giustizia” (Il melangolo, Genova 2019); “Dove abita l’Infinito. Trascendenza, potere e giustizia” (Vita e Pensiero 2020); “Piccola metafisica della luce. Una teoria dello sguardo” (Vita e Pensiero 2021).